Silvia Pollice
IL LUNA PARK LIDO DI MILANO.
Nei primi anni ‘20 del secolo scorso, le poche strutture sportive esistenti a Milano erano prevalentemente private e dunque riservate ad una fascia molto ristretta della popolazione. Tuttavia, con la riduzione dell’orario di lavoro ad otto ore, si manifestò l’esigenza di organizzare il tempo libero dei lavoratori come spazio di evasione e fu in questo senso che attività sportive come il calcio, il ciclismo o il gioco delle bocce iniziarono ad essere praticate anche da impiegati e operai. Discipline che, richiedendo l’utilizzo di un’attrezzatura minima, non necessitavano di grandi investimenti.

Al contrario, la necessità di attrezzature più “importanti” s’impose soltanto con la nascita del cosiddetto sport spettacolo e l’organizzazione di manifestazioni agonistiche, patrocinate dal CONI. Ben presto, le grandi industrie del nord Italia iniziarono a fondare circoli e a costruire impianti sportivi nei pressi del luogo di lavoro, dove lo sport di massa potesse essere non solo praticato, ma anche valorizzato. Inoltre, da un punto di vista strettamente politico, lo sport veniva sfruttato dal nascente regime fascista non solo come valvola di sfogo di una popolazione sottoposta a forti pressioni sociali ed esposta ad un clima di grande conflittualità, ma soprattutto come strumento di propaganda mondiale, in particolare elogiando i risultati degli atleti italiani per diffondere l’immagine di un Paese moderno ed efficiente. Fu così che, sul finire degli anni ‘20, vennero ideati diversi progetti per la costruzione di stadi, palestre, piscine, grandi arene e una rete di piccoli impianti diffusi sul territorio, tra i quali spiccava il Luna Park Lido di Milano, situato nei pressi di Piazzale Lotto.

Gestito dalla Società Anonima del Luna Park Lido di Milano, che incaricò l’ingegnere Cesare Marescotti di creare un centro di svago accanto all’Ippodromo di San Siro, tale progetto intendeva imitare il modello newyorkese del parco divertimenti di Coney Island. Infatti la struttura, inaugurata nel 1930, fu subito considerata una novità assoluta: due grandi specchi d’acqua, sinuosi ed irregolari, erano percorsi da piccole imbarcazioni e parzialmente separati da un molo di approdo corredato da un faro a luce intermittente, lampioni di ferro in stile veneziano e pali di attracco, che ricordavano un landscape lagunare. In particolare, nella vasca maggiore erano collocati un isolotto fiorito - collegato alla riva da un ponticello - e una spiaggia di sabbia vera, finti scogli e trampolini per tuffi, nonché un padiglione di ristoro noto come la Rotonda. Infine, un’attrezzatura meccanica ricreava il movimento delle onde del mare.

Forse perché ritenuto troppo innovativo per l’epoca, soprattutto per via dell’ingresso consentito sia a uomini che a donne, il Lido venne etichettato come “luogo di vizi e promiscuità (…)” e, nel giro di pochi anni, la Società Anonima fallì misteriosamente. Dopo essere stato acquisito dal Comune di Milano, la natura del Lido venne stravolta totalmente: gli elementi “frivoli” vennero rimossi per dare alla struttura un indirizzo più sportivo, con la creazione di campi da bocce, una pista di pattinaggio a rotelle e campi da tennis. Insomma, un esperimento che oggi definiremmo “parco tematico” e che proponeva una ricostruzione artificiosa di un ambiente dal sapore vacanziero e lagunare, negli anni successivi divenne di fatto il precursore di un moderno centro polisportivo.
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